Tuniche ora scarlatte in Tibet
La comunità internazionale china la testa di fronte alla brutalità della repressione cinese in Tibet. Fonti non ufficiali parlano di un centinaio di morti. Per il Governo e l’informazione di regime sono “solo” dieci. L’Occidente, forse per motivi economici, pare non vedere e non sentire niente. Eppure i Giochi Olimpici di Pechino 2008 rappresentano una ghiotta occasione per pretendere il rispetto dei diritti civili in Cina. Il Ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, la pensa diversamente: “Disertare l’Olimpiade? Si rischierebbe solo confusione”, ha dichiarato. Tuttavia il boicottaggio è sempre stato un valido strumento di pressione. Nel 1976 il Sudafrica fu sospeso dal Cio (Comitato Olimpico Internazionale) per le sue politiche di segregazione razziale. Fu riammesso solo nel 1991, dopo l’abolizione dell’Apartheid. Allora perché non applicare lo stesso principio alla Cina per la libertà di parola, di manifestazione e di informazione; per le politiche demografiche; per la libertà religiosa e per i diritti dei lavoratori? Stati Uniti e gran parte dell’Unione Europea (compresa l’Italia) hanno fatto a gara per riconoscere l’indipendenza del Kosovo, ma nessuno ha mosso un dito per il Tibet. Che fine ha fatto il principio di autodeterminazione dei popoli? Che fine ha fatto il rispetto delle diversità etniche? Chi ospita le Olimpiadi è obbligato a esibire civiltà e rispetto dei diritti umani…
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