06/05/2008   16:56 1021

L'atavico maschile del linguaggio comune


Frequento un corso per perfezionare l'insegnamento della lingua italiana a ragazzi e adulti stranieri. L'esperto che ci guida nei meandri della glottodidattica ha dedicato un'intera lezione all'intercultura, raccontando aneddoti relativi a ciò che “gli altri” dicono di “noi”. Ci ha detto, per esempio, che molti europei anglofoni sostengono che l'italiano sia una lingua maschilista, perché privilegia il maschile nei casi di plurali misti. Si dice “gli uomini” anche quando si intendono uomini e donne, “gli insegnanti” e non “le insegnanti” anche quando c'è un solo uomo nel gineceo di maestre e professoresse tipico della scuola italiana. Il nostro esperto sosteneva, però, che l'accusa fosse infondata, perché la lingua segue spesso un criterio di economia nelle sue formulazioni, tale per cui è più funzionale alla comunicazione usare “gli uomini” che mettersi ad allungare il brodo con “gli uomini e le donne” per essere politically correct. La questione potrebbe sembrare cavillosa, in parte forse lo è, ma in parte, invece, no. La lingua è viva ed è vita, non solo tecnica, e rispecchia le visioni e i principi della società che la adotta. Come altri aspetti del nostro vivere in comune, essa sta in una relazione vicendevole con la cultura. L'insegnante del corso ci dice che, per evitare incidenti culturali, bisogna conoscere anche il piano legislativo proprio del paese a cui appartiene la persona straniera. Se si parla ad una donna americana e si è maschi, ad esempio, è cosa buona non fare mai apprezzamenti sul suo aspetto fisico con l'intenzione di apparire simpatici. In un paese nel quale le denunce per molestie sessuali sono all'ordine del giorno, sarà infatti deprecabile anche sul piano culturale fare battute ammiccanti. E' come se il piano legislativo dettasse il passo ai comportamenti, ma a volte succede anche il contrario, ed è cioè la cultura a produrre cambiamenti nelle norme. Inviterei i maschi, soprattutto quando si tratta di rapporti tra i sessi, a guardare oltre l'apparenza e a chiedersi cosa manca in quel plurale che non c'è o in quel complimento che quella “straniera” pare non aver capito.

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