17/07/2007   18:8 1741

Le contraddizioni del Coke’n’Roll


“Non voglio combattere in una guerra sacra / Non voglio che i venditori bussino alla mia porta / Non voglio più vivere in America / Non voglio vivere più nella casa di mio padre”. Win Butler
“L’alternativo è il tuo papà / Sui giovani d’oggi ci scatarro su”. Manuel Agnelli

Tra i gruppi del primo giorno del Southside Festival spiccano Incubus e Editors. Ascoltati loro, ci abbandoniamo alla stanchezza in tenda, ma le ore di sonno non sono molte: alle 9 il sole non permette già più alcun riposo. Mangiamo, giriamo per il campeggio e, verso sera, ci ributtiamo nei concerti: Sonic Youth, Placebo, Queens of the Stone Age e poi Pearl Jam, il gruppo più atteso.
Dopo un’intensissima ora e mezza di canzoni, il cantante presenta l’ultima così: “Dobbiamo ringraziare un pianeta che ci regala cose meravigliose come questo posto incredibile e le Band che qui si sono esibite… un pianeta che genera persone come Bush e Cheney, e se ne prende cura nonostante quel che loro gli fanno. Voi fareste lo stesso?”

Detto ciò si lancia in una trascinante cover di Rockin’ in the free World di Neil Young. Tutti cantiamo con lui e a me sembra quasi uno di quei momenti, ma poi il mio sguardo cade sulla scritta Coca Cola che campeggia enorme ai lati del palco: non è forse l’azienda tanto nota quanto chiacchierata? Mi sento un po’ interdetto: ha senso cantare la libertà sponsorizzati da ciò contro cui ci si ribella? La canzone mi emoziona ancora, ma la voce ha come vergogna a uscire.
La domenica siamo sotto i palchi dalle 14: Mogwai, Bloc Party, Interpol, Arcede Fire. Finito il concerto di quest’ultimi il batterista lancia via le bacchette e il mio istinto da stopper mi fa saltare ad afferrarne una. Non appena l’ho presa mi rendo conto che in effetti non so che farmene: fosse stato un plettro mi sarebbe tornato utile, ma una bacchetta…
Ad ogni modo, ora sono famoso: un ragazzino a fianco a me mi guarda allampanato e dice: “Cool…”. Mi guadagno tutta la sua adolescenziale devozione allungandogli la lista delle canzoni che era attaccata alla bacchetta.

Poi la musica si ferma e sul palco principale salgono tutti i volontari della Croce Rossa che hanno lavorato al festival. Uno di loro prende la parola con voce rotta: “Voi tutti sapete quel che è successo qui giovedì mattina. Il nostro collega aveva 28 anni. Crediamo che lui avrebbe voluto che la musica e il divertimento andassero avanti, per questo siamo qui. Vi chiediamo solo di ricordarlo insieme a noi, osservando un minuto di silenzio”. E il silenzio arriva, surreale: non ho mai visto in vita mia una massa così enorme di persone non emettere alcun suono. Nemmeno il commosso applauso finale mi toglie di dosso quel senso d’irrealtà.
Tornato a casa leggo in internet un resoconto dei tre giorni. Il titolo è emblematico e lo rubo senza badare a copyright: Ein Festival der Kontraste.

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