14/02/2008   11:56 1257

Quando il polverone “Di Bella” giunse in un’incerta Benevento


Ricordate la cura Di Bella? Prese il nome dal medico italiano che, ultraottantenne, salì agli onori delle cronache in virtù di una metodo da lui brevettato e ritenuto estremamente efficace nel trattamento dei tumori, anche di quelli più pervicaci. Ce ne serviamo oggi come spunto per parlare di Sanità, una volta tanto senza gli ormai inevitabili riferimenti alle nomine “appaltate” ai partiti e alle logiche spartitorie ormai pienamente in auge nel mondo ospedaliero. Facciamo un salto di due lustri: al governo c’era il Prodi I e toccò all’allora ministro della Salute Rosy Bindi dare l’assenso alla sperimentazione della somatostatina (termine presto divenuto popolare tra gli italiani), in seguito alla fortissima pressione mass mediatica seguita alla sentenza del pretore di Maglie, Carlo Madaro, vincolante l’Asl locale a rifornire gratuitamente un paziente malato dei farmaci da somministrare, secondo le indicazioni della terapia. Tutto questo nonostante la pressoché assoluta opposizione della comunità scientifica italiana: furono in tanti a mettere in discussione l’effettiva validità della cura. E comunque, tanto per non smentire le migliori tradizioni nazionali, gli italiani si divisero in pro e contro e la destra arrivò a fare dell’oncologo modenese il simbolo antistatalista della lotta in nome della libertà di cura.

Gli echi della vicenda raggiunsero il Sannio. In quei giorni, infatti, il pretore Simonetta Rotili aveva negato la somministrazione del farmaco base per la discussa cura a un carpentiere ricoverato presso il “Fatebenefratelli” di Benevento, a causa di un cancro al peritoneo. Si era alla fine di gennaio, proprio mentre la discussione impazzava sui giornali e in televisione. I parenti dell’interessato, infatti, avevano rivolto a Tonino Pedicini e Dino De Rienzo, i medici interessati al caso, la somministrazione della “pozione magica” (da alcuni malignamente paragonata per efficacia curativa a un bicchiere di coca-cola) in alternativa alla tradizionale chemioterapia. Le autorità ospedaliere negarono l’autorizzazione e i familiari del degente adirono le vie legali, sulla scia di quanto accaduto a Maglie, per mezzo di un ricorso presentato alla Pretura di Benevento dall’avvocato Agostino Rainone.
De Rienzo e Pedicini precisarono come la loro opposizione alla terapia non si basasse su considerazioni inerenti la validità della stessa, bensì sulla mancata presenza della prescrizione, presupposto essenziale per l’assenso, al contrario di quanto accaduto a Maglie, dove lo stesso di Bella aveva sottoscritto il documento. Inoltre, si sarebbe trattato del primo tentativo al Fatebenefratelli, per di più senza la presenza della cura tra i prontuari prescritti dal ministero competente (la sperimentazione doveva essere ancora avviata). I parenti del malato, dal canto loro, impugnarono l’argomento della dimostrata innocuità (nel senso positivo) della terapia, a loro giudizio ragione sufficiente di una concessione da parte delle autorità. L’Asl, invece, non si pronunziò in virtù dell’incompetenza sulla questione, essendo stata rivolta la richiesta al Fatebenefratelli. La Rotili, dunque, accolse le tesi dei due medici. Tra gli stralci del documento si legge che “il farmaco non è prescrittibile in quanto manca la documentazione medico-scientifico necessaria a fornire elementi tecnici di convincimenti circa l’efficacia terapeutica del farmaco richiesto”. Come prevedibile, i familiari del degente non si ritennero soddisfatti, la moglie parlò di “seconda condanna a morte”, ma ribadì il fermo intento di non darsi per vinta e cercare a tutti i costi un medico disposto a prescrivere la cura. A 10 anni di distanza da quell’episodio rimane una flebile eco, sul web è possibile trovare un sito propagandante ancora la validità della proposta terapeutica. Nel frattempo, è sopraggiunta nel 2003 la morte del medico di Linguaglossa, seguita alla “inattività” sancita dal Ministero al termine della sperimentazione. Fallimento, va da sé, mai riconosciuto dai sostenitori del trattamento, anche a seguito della bocciatura del 2005 pervenuta pure da parte del Consiglio Superiore della Sanità. A conti fatti, si trattò dell’ennesimo polverone montato da organi di stampa e politici interessati. Non certo una situazione nuova in Italia, nel caso specifico aggravata dall’essere stata costruita sulla pelle di chi vive quotidianamente situazioni dolorose e nella disperazione è disposto a cercare qualunque soluzione.

^ torna in alto Stai leggendo un articolo di >