06/05/2008   12:48 1152

La volta che per riprendere colore il PDS si affido a Lello Bianco


Abbiamo più volte riferito su questa rubrica dei travagli patiti dal Pds, ancora lontano dallo scioglimento nel nuovo contenitore Ds, alla fine degli Anni ’90. Scontri e ripicche interne logorarono la Quercia e culminarono con un costante e inesorabile calo di consensi. Come abbiamo già scritto in passato, l’inizio del 1998 era stato caratterizzato dalla messa in discussione, con annessa mozione di sfiducia, del segretario provinciale Angelo Irano, accusato da una numerosa componente di una gestione poco partecipata del partito, aggravata all’esaurimento della “spinta propulsiva” impressa dal dirigente all’inizio della segreteria. La dura lotta interna si concluse negli ultimi giorni del febbraio di quell’anno, come testimonia l’articolo di Peppe Porcaro a pagina 2 del “Quaderno” n. 174. Il giornalista si concesse una battuta nell’attacco del pezzo: “Il Pds va in Bianco”. E già, perché fu proprio Raffaele “Lello” Bianco a raccogliere, in un’assemblea svoltasi a Montesarchio, il quorum necessario a ratificarne la nomina: 73 su 119 votanti (ben 50 delegati disertarono l’urna). Si trattò di un fatto per diversi aspetti innovativo: per la prima volta, del Pci prima e del Pds poi, saliva al vertice un personaggio mai stato funzionario, così come mai era stato nominato per la carica un beneventano, cioè, originario dello stesso capoluogo. Decisivo risultò il lavoro del “gruppone” facente capo ad Aniello Troiano, già segretario del Pci-Pds, mostratosi capace di tessere alleanze estese in funzione anti-Irano. In realtà, come illustrava Porcaro, Troiano avrebbe potuto portare a casa il risultato già un anno prima, “ma commise l’errore di tentare di stravincere, cercando d’estromettere dai delegati del congresso regionale, Tonino Pedicini, che si pose subito come avversario del gruppo e che assieme al deputato Carmine Nardone avversò fortemente la scelta di appoggiare organicamente Roberto Russo, presidente della Provincia eletto in Forza Italia ma che abbandonò quel partito”.
Comunque, alla fine la fase di stallo fu superata. Decisiva risultò la capacità di Troiano di veicolare sulla mozione di sfiducia anche due dirigenti di rilievo rimasti inizialmente defilati rispetto allo scontro in atto come Franco Russo e Cosatantino Boffa, pure loro in passato segretari del Partito Comunista. Non mancarono conseguenze politiche dalla parziale unità ritrovata, su tutte la decisione di considerare chiusa l’esperienza alla Provincia. La pietra tombale fu posta dal leader regionale Guglielmo Allodi: chiunque avesse continuato ad appoggiare Russo sarebbe stato automaticamente considerato fuori dal partito. Stavano nascendo, oggi possiamo dirlo, i presupposti per la candidatura alla Rocca di Carmine Nardone, ormai, in quei mesi al termine della sua non breve carriera di parlamentare e decisamente proiettato nelle vesti di amministratore decennale della provincia sannita.
In taglio basso Carlo Panella commentava i fatti, non senza mostrarsi perplesso: “Bianco si trova in mano una patata bollente. Dovrà essere capace di chiamare a raccolta tutte le energie per dare al Pds un progetto al momento assente quasi del tutto: la qualità del dibattito interno e la proposta politica sono davvero modeste”. Non si profilava neanche il compito di vigilare su eventuali marce indietro sul deliberato congressuale sancente l’uscita dalla Giunta Russo.
A complicare le cose, la difficile situazione economica del partito: 700 milioni di lire di debiti. Ma il futuro non si presentava completamente buio, grazie agli ingressi ufficiali nel partito di un consistente fronte socialista (Ferdinando Facchiano, Luigi Diego Perifano e Gaetano Del Vecchio) dopo anni di incomprensioni e acerrime divisioni. E, sempre in prospettiva, Panella auspicava il recupero delle frange del partito più giovani, compattatesi intorno alla figura di Irano, non senza un passaggio riguardante la valorizzazione delle componenti femminili del partito: “Al congresso di Montesarchio non c’è n’è stata una che abbia preso la parola, un vero sconforto. E’ molto grave che non si riescano a intercettare le qualità e i valori provenienti dal mondo femminile”.
A pensarci bene, il tema della valorizzazione di giovani e donne è considerato uno dei cardini della strategia del Partito Democratico di Walter Veltroni, l’esclusione di Ciriaco De Mita e la decisione di candidare quasi metà uomini e metà donne sono emblematiche in tal senso. Tuttavia, probabilmente dovrà avvenire nella società, ancora troppo vecchia e maschile, un salutare rinnovamento di cui anche la politica potrà giovarsi.

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