18/10/2007   18:25 2756

La moda e i pantaloni maroniti


La storia del pantalone maronita suona più o meno così. Qualche giorno fa, in uno dei miei luoghi di lavoro, vedo entrare una giovane non più ragazza ma non ancora donna. Aveva avuto l’improvvida idea di calzare un paio di sandali di sughero proprio mentre l’ultimo scorcio d’estate stava regalandoci il primo assaggio d’autunno, con temperature, almeno al mattino, intorno ai dodici gradi. A svelare il prosperoso decolleté, una maglia a maniche corte dai molti colori, non tutti vivaci. Il pezzo forte dell’abbigliamento era però costituito da una pantalone marrone a sbuffo, dal cavallo rigonfio, fermato appena sopra le caviglie da due elastici assai simili a quelli che, fanciulli in età scolare, bloccavano le maniche dei nostri grembiulini per evitare che ci macchiassimo con pennarelli e plastilina. Un indumento di tal fatta è l’ultima trovata di un prêt-à-porter a corto di idee. E indossarlo deve certo dare l’idea di saper leggere e interpretare le tendenze. Il problema è che calzoni leggeri e larghi come quelli, non possono far a meno di farmi tornare alla mente la credenza diffusa secondo cui i seguaci di San Marone accoglieranno il Messia, quando egli tornerà alla fine dei tempi, espellendolo dal proprio basso ventre. Sicché l’ampio vano all’altezza del cavallo fungerebbe da culla al momento dell’arrivo dell’Unto. E poiché non si sa quando tale momento giungerà, meglio indossare sempre pantaloni svolazzanti e vigilare. Va detto a onor del vero che le cose per i maroniti non stanno proprio così. E benché la propria Chiesa sia autonoma, essi riconoscono comunque l’autorità papale. Ma quando mi hanno chiesto che impressione avevo avuto di questa collega, non ho potuto far a meno di richiamare alla memoria i maroniti incontrati in Libano e Siria. E lanciarmi in una descrizione assai simile a quella riportata in queste righe. L’abito non fa il monaco, certo. Ma, prendendo a prestito un noto aforisma di Oscar Wilde dirò pure che “solo i superficiali non giudicano dall’apparenza”. E che apparenza!

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