06/12/2007   12:33 1159

Abbigliarsi per un incontro


Lo scenario che ci accoglie all’appuntamento fissato per le 15.30 è più simile a una landa desolata del Connecticut che ai rigogliosi paesaggi irpini dove sorge l’atelier. Dalle eleganti sbarre del cancello in ferro battuto, si intravede un edificio in stile coloniale, a tratti austero, a tratti raffinato. Il problema è che non si intravede null’altro. Del nostro interlocutore non c’è traccia né vien voglia di cercarlo più di tanto, data la pioggia fina ma insistente che ci accompagna dal mattino. Dopo un quarto d’ora d’attesa, io e la mia collega proviamo nuovamente a bussare al citofono, andando alla ricerca di nuovi campanelli. Trascorsi ulteriori dieci minuti, proviamo l’opzione telefonica, immancabilmente priva di risultati in casi del genere. Sicché diventiamo più smaliziati e intrepidi; aggiriamo l’edificio in cerca di un ingresso secondario, notiamo un’autovettura che denuncia la presenza di una persona all’interno, scorgiamo un cartellone pubblicitario dell’atelier che riporta un numero diverso da quello in nostro possesso e celebriamo così sogghignanti la vittoria quando l’automatismo permette al cancello di aprirsi perché il custode è costretto a farci entrare. L’austerità a tratti raffinata della villa cede subito il passo allo stile barocco dell’interno, con vasi pomposi, colonne e capitelli in gesso dipinto d’oro, vestiti a campana, tutti balze e sbuffi, e un sontuoso scalone che porta al piano superiore. Poiché il nostro interlocutore tarda a venire, lo sguardo indugia su piatti da portata dalle forme irregolari, pietanziere in ceramica ondulata, vassoi per salse e cremine dal dubbio gusto e dall’improbabile utilizzo. Gli spazi sembrano assai più ampi della realtà, moltiplicati dagli specchi che pendono obliqui o si elevano da terra con bardature in similoro o povero ottone. E’ in questo contesto che il super manager che attendiamo si fa vivo. Sorridendo assonnato, senza accennare a scusarsi per il ritardo, irrompe con un volto giovane, due pietrine luccicanti alle orecchie, sopracciglia tirate e fare sicuro. Nulla però in confronto all’avvolgente boa grigio che cinge il bavero del suo lungo cappotto nero, stagliando nell’atrio una figura pavoneggiante perfettamente in linea con lo stile dell’atelier. Della stola, nell’armadio avrà senza dubbio qualche variante: il rosso per le serate di passione, il fucsia per la discoteca, il verde per i pic-nic. Magari un giorno comprerà anche il bianco della maturità. Ma solo quando avrà imparato a chieder scusa quando è in ritardo di un’ora.

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