04/04/2008   14:18 1066

L’addio a Casini e l’Ave a Cossiga Mastella lasciò il Polo per l’UDR


Il pregio principale di “Squadernando” consiste nella possibilità di verificare la tendenza della storia (con la s minuscola, naturalmente) a ripetersi, a ritornare, a rivivere. Del resto, l’idea della ciclicità delle stagioni politiche non è di nuovo conio, e qualche fondamento deve pur averlo se tanti uomini del pensiero vi hanno attribuito validità e credibilità. L’insolita introduzione è facilmente motivabile: 10 anni fa Clemente Mastella lasciava il centrodestra. Avevamo spesso preannunciato il racconto del “giorno dell’addio”, mai avremmo ipotizzato di metterlo in atto dopo neanche due mesi trascorsi dall’abbandono dei mai troppo amati alleati di centrosinistra. Certo, l’uscita dal Polo delle Libertà non passò inosservata, ma il rumore prodotto fu un lieve fruscio al confronto dai tuoni fragorosi (per proseguire con la metafora meteorologica utilizzata dal direttore di questa testata in un recente editoriale) provocati dal bye bye rivolto, senza troppi rimpianti, alla defunta Unione. Né, d’altra parte, si potevano all’epoca immaginare i clamorosi esiti successivi alla scelta del ceppalonese, culminati proprio nella crisi di gennaio e nel seguente rimescolamento politico delle carte rimaste sostanzialmente le stesse dal 1994 in poi. Ma andiamo con ordine.
Si era al termine del febbraio 2008 e il vulcanico senatore a vita Francesco Cossiga, già inquilino del Quirinale e protagonista di un finale di presidenza a dir poco scoppiettante (ricordate le memorabili “esternazioni”?) volle tornare protagonista dopo sette anni di torpore. E si sa, il modo migliore per farsi notare in Italia è uno solo: fondare un partito, meglio se di persone già elette e insofferenti della loro condizione. Il “Sardo nel buio” (la battuta è di Corrado Guzzanti) creò l’Udr, acronimo di Unione Democratica per la Repubblica, alla base di una serie di filiazioni quasi omonime e distinguibili tra loro solo per il differente recapito telefonico. All’inizio la campagna acquisti si mosse nelle direzioni più disparate: oltre a ad una serie imprecisata di sigle e circoletti, aderirono Rocco Buttiglione con i Cristiano Democratici Uniti, i socialdemocratici dell’ex ministro Enrico Ferri e pezzi vaganti di Forza Italia, come Carlo Scognamiglio, Tiziana Parenti e il tele-psichiatra Alessandro Meluzzi, non ancora folgorato sulla via di Don Gelmini. Completavano l’eterogenea formazione “Mariotto” Segni, nell’ennesimo fallimentare tentativo di tornare protagonista dopo la fortunata stagione refendaria (neanche An sarà risparmiata dalle sue pulsioni palingenetiche) e, dulcis in fundo, Mario Clemente Mastella, scissosi dal CCD di Pierferdinando Casini e presentatosi al cospetto di Cossiga come leader dei Cristiano Democratici per la Repubblica (Cdr).
Al di là della babele di sigle, in terra sannita gli effetti non tardarono a manifestarsi: seguirono Mastella l’attuale sindaco di Benevento Fausto Pepe, l’assessore regionale Mino Izzo, poi passato in Forza Italia, Antimo Lavorgna e Antonio Barbieri, anche lui in seguito accorso alla corte di “Re Silvio”. Rimase nel Ccd Erminia Mazzoni, mentre Annio Maiatico, forzista, aderì al neonato movimento. I boatos ipotizzavano una clamorosa adesione del socialista Umberto Del Basso De Caro, ma non se ne fece nulla. Soprattutto, ci si chiedeva, come oggi, quale sarebbe stata la strategia mastelliana. Ecco le parole di Lorenzo Preziosa: “O rompe il Polo e ne taglia l’ala destra formata da An per costruire un grande centro, oppure salta il fossato e contratta con l’Ulivo, soprattutto dove questo è meno forte”. “La seconda che hai detto”, diremmo oggi per citare di nuovo il bravissimo autore satirico, anche se dovrà passare qualche mese per l’ufficializzazione.
Avremo modo, comunque, di riferire sugli sviluppi della rilevante migrazione politica. Vogliamo, tuttavia, chiudere con due parole sull’Udr, forse l’unico partito della storia privo di riscontro elettorale. Infatti, dopo l’elezione di Mastella stesso a segretario nazionale il 9 giugno di quell’anno e l’appoggio concesso a Massimo D’Alema per il primo governo guidato da un post-comunista, il movimento iniziò inesorabilmente a sfaldarsi. La storia della sua disgregazione è da sola uno spot per i più fieri avversari del proporzionale: Buttiglione rimise in piedi il Cdu, Mastella fondò l’Udeur, Cossiga l’Upr, poi confluito nel Trifoglio (sic!), Meluzzi il Cde, mentre il Patto Segni, come detto, si “fidanzò” con An, ma l’amore durò poco (i consensi di Fini invece di crescere diminuirono!). Ah, dimenticavamo, l’Ur (Unione Repubblicana) si sciolse nel Pri di Giorgio La Malfa. Alla fine, quando si svolsero le elezioni europee, l’Udr non c’era più. E pensare che Cossiga, dopo la fondazione, aveva pensato di abbandonarlo perché critico con gli aderenti, da lui considerati come semplici “cacciatori di poltrone”. Ma cosa andava mai a pensare…
Vincenzo Del Core

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