La moratoria ideologica sull'aborto che nega il cristianesimo
Riceviamo e pubblichiamo l'opinione di un lettore del Quaderno.it sull'iniziativa di promuovere una moratoria sull'aborto e sul conseguente dibattito, particolarmente acceso, sviluppatosi in queste settimane sulla delicata materia.
L'iniziativa di promuovere una moratoria sull'aborto, in analogia a quanto avvenuto per la pena di morte, ha dato luogo a un dibattito che si avvia sempre più a divenire scontro, complice la campagna elettorale e i toni accesi volutamente scelti per affrontare la questione.
Esporrò 4 considerazioni in proposito, senza presumere di possedere la verità, con la consapevolezza, al contrario, di chi pensa che fare domande sia più difficile di dare risposte.
1° Credo innanzitutto che sia importante sgombrare il campo da strumentali e ideologiche (cioè mistificanti) equivalenze secondo cui l'essere contrari alla pena di morte implicherebbe, ipso facto, l'essere contrari all'aborto. Nel caso della pena di morte lo stato indice guerra a una persona, punisce un crimine commettendo lo stesso crimine che rimprovera al reo di aver commesso, punisce cioè l'uccisore con un'uccisione, gli dice non uccidere uccidendolo, cadendo così in una contraddizione logica, oltre che morale, inaccettabile per una democrazia e uno stato di diritto.
L'aborto non è un intervento punitivo realizzato tramite un omicidio e una donna che abortisce, e un medico che ne attua e consente la pratica, non sono, e non possono essere considerati, come giustizieri o carnefici; il giudizio sulla moralità di un atto non va dato valutando l'azione in se stessa ma tenendo conto dei motivi per cui si agisce e della situazione contestuale in cui si agisce.
Le differenze sono tali da consentire una distinzione netta tra le due questioni che solo chi accecato da furore fondamentalista non riesce a vedere.
2° L'aborto non è nemmeno un metodo contraccettivo o un mezzo di controllo delle nascite per tutelare la società dal pericolo di sovrappopolazione. Ma proprio per questo perché la chiesa non fa un passo indietro e si pronuncia e si impegna pubblicamente, come fa quasi su tutto, in favore di una campagna di informazione preventiva che favorisca e incentivi l'uso di metodi contraccettivi?
Non è il caso di abiurare il divieto di ogni forma di contraccezione in quanto "impedisce l'intrinseco dinamismo del processo vitale"?
3° L'aborto, contrariamente a quanto alcuni ritengono, non è neanche l'espressione di una mentalità mortifera figlia di una cultura nichilistica e irresponsabile che non pone limiti alla libertà dell'uomo (in quanto Dio è morto) a cui contrapporre il senso di una normatività trascendente che sia misura o ratio dell'azione umana (in quanto senza Dio tutto è permesso). Coloro che credono che tutto sia permesso non sono quelli che pensano che Dio è morto ma quelli che credono di essere Dio. Un valore c'è , o "vale", solo quando può essere scelto.
La legge 194 è semplicemente il riconoscimento del diritto alla possibilità di scegliere e, allo stesso tempo, il riconoscimento di un dovere, nel senso che la donna deve poter scegliere, seppure in certi limiti.
Non c'è alternativa che non sia costrizione. Certo, la possibilità di scelta comporta tragicamente il sacrificio di valori che,al momento della scelta stessa, appaiono ugualmente e pienamente impegnativi, come dimostra
il caso-limite dell'aborto in cui, purtroppo, non c'è alcun compromesso possibile o mediabile tra il diritto del nascituro a vivere e il diritto della donna all'autodeterminazione.
Ma, ed è proprio questa la conquista, la legge 194 non obbliga, consente. Sancisce l'autonomia, ma un'autonomia responsabile, in quanto non si traduce nell'arbitrarietà illimitata o nell'ottusa arroganza di chi si autorizza da solo a fare tutto ciò che vuole.
Non si può costringere una donna a portare avanti una gravidanza con la forza coercitiva della legge, non solo perché diritto e morale sono sfere separate che non si possono sovrapporre pur intersecandosi, ma soprattutto perché questo significherebbe calpestare la dignità di chi non è uno strumento di procreazione, di chi non è un funzionario della specie e delle perpetuazione della vita, senza se e senza ma, di chi non va considerato come un mezzo ma come un fine a cui spetta l'ultima parola.
E' troppo facile puntare il dito contro. Il vero scandalo è vedere chi si scandalizza con tanta indignazione di fronte alla "aberrazione dell'aborto" non dire una-parola-una sui milioni di bambini morti ammazzati in guerra, malati, denutriti, violentati, emarginati, dimenticati non solo in Africa o in Iraq ma anche più vicino di quanto pensiamo.
La vita di questi bambini non è altrettanto sacra? Chi la difende con la stessa determinazione?
4° Si può e si deve discutere di tutto con tutti; il dialogo non è un auspicio ma una necessità. Per questo credo che la contrapposizione laico/cattolico sia un paradigma di semplificazione ridicolo. Le persone non si dividono in credenti e non credenti, ma in pensanti e non pensanti.
Laicità non è ateismo o indifferentismo ma inclusione dell'altro. Tuttavia, in una discussione su ciò che è giusto o meno fare, non è di nessun aiuto che uno degli interlocutori (come fa la chiesa) rivendichi per sé la pretesa di razionalità, affermi la propria posizione come l'unica conforme alla natura, l'unica naturale.
Questo naturalismo reazionario che pretende di dirci - ex ante e in maniera aproblematica - che cos'è la vita, quando comincia e quando finisce; questo assolutismo razionale che stabilisce infallibilmente cosa è conforme alla Ragione e cosa no; mi sembra solo il sintomo di una chiesa che, ormai, non ha più la fede, ma solo l'ortodossia, cioè, un insieme di regole e precetti che ci vengono prescritti come modelli di comportamenti virtuosi, e che ci indicano, paternalisticamente, la retta via, come dobbiamo vivere, come dobbiamo mettere su famiglia, come dobbiamo mettere al mondo i figli, come dobbiamo morire.
Se domandiamo a persone sofisticate, intellettuali, atei devoti, cardinali eminenti, di che cosa si occupa la religione ci diranno che ha a che fare con il fondamento della moralità e della struttura simbolica della società, di chi è o chi deve essere l'uomo, di cos'è il bene e com'è possibile conseguirlo; se lo chiediamo all'ingenuo comune credente ci risponderà semplicemente che la religione si occupa di Dio, cioè, dell'invisibile.
Anche la chiesa, dunque, ha fatto una scelta, quella di occuparsi esclusivamente del visibile e di non considerare la dimensione invisibile dell'interiorità, del bisogno di trascendenza e della spiritualità, la cui scoperta, è il merito più grande del cristianesimo.
Giovanni Festa