Voto anticipato, dal male il bene
E’ caduto il Governo Prodi per sei senatori dell’Unione che gli hanno negato la fiducia. Si corre verso le elezioni anticipate. Noi elettori siamo un po’ sgomenti. Non solo per la seduta fatale a Palazzo Madama, con dei parlamentari scatenatisi in Aula, ma più adatti alle bettole. A nemmeno due anni dall’avvio, preoccupa la chiusura anticipata della legislatura. Anche perché si tornerà a votare con l’orrenda legge Calderoni, voluta dal solo centrodestra. Non consente agli elettori di scegliere l’eletto. Lascia la nomina ai partiti col meccanismo delle liste bloccate. Né assicura un sicuro premio di maggioranza al Senato alla coalizione vincente. E’ tanto brutta da essersi meritata un referendum abrogativo in primavera. Non si terrà, se ci saranno le Politiche. Sarà spostato nel 2009. A crisi aperta, il centrosinistra chiede, lagnosamente, al centrodestra di non andare al voto col “porcellum” di Calderoli. Ha avuto quasi due anni per cambiarla, non l’ha fatto: anche su questa materia non ha trovato l’accordo. “L’Unione” divisa e rissosa è stata quasi su tutto. Per questo non è durata al Governo.
La coalizione s’è creata per battere Berlusconi, con un programma ponderoso poi ignorato dai tanti e troppo diversi partiti sottoscrittori. L’Unione, ostinata come un mulo, ha ripetuto gli errori del precedente centrosinistra al governo (1996-2001) che poi ci ha servito il quinquennio berlusconiano: 1) risse interne; 2) due tempi in economia: prima risanare le finanze e poi le politiche redistributive in favore dei ceti deboli. Stesso esito suicida: riordino delle casse portato a termine, il miglioramento dei redditi della maggioranza degli italiani (dei propri elettori) no.
In questa sede l’analisi non può essere dettagliata. Cose buone sono state pure realizzate, nei 22 mesi, altre sono mancate. Non solo nella politica economica, ma anche sui diritti civili o sul conflitto d’interessi. Sulla prospettiva, su queste settimane che porteranno al voto, invece, qualche riga. Nel centrosinistra, ha ragione Veltroni: il Pd deve andare da solo, ambendo a voler rappresentare la maggioranza degli italiani. Nato dalla fusione fredda di due partiti, nobilitato dalle primarie per scegliere il leader, il Partito Democratico non può ancora immaginarsi nel caravanserraglio che va dal Dini al Turigliatto di turno. Proponga il suo programma riformista, come gli altri partiti omologhi europei, alternativo ai conservatori e vada per la sua strada. Prenderà molti voti che forse (nessuno vince o perde prima di combattere) saranno insufficienti a battere le destre, ma sarà da subito un punto di riferimento per gli italiani
che non aspirano troppo a farsi governare, ancora, dalla Cdl. La sua coerenza programmatica, post-ideologica, sarà una dolorosa spina nel fianco, delle destre, dalla ambizioni divergenti, riunitesi, di fretta e furia, dopo settimane di aspre polemiche, per cogliere la vantaggiosa prospettiva dell’Unione allo sbando. Il Pd unito al suo interno e da solo al voto accelererà pure il processo d’aggregazione avviato tra i partiti comunisti, i verdi e gli ex diessini nella Sinistra Arcobaleno. Non solo: se non saranno più confusi nelle impossibili coalizioni unitarie, Pd e “iridati” finiranno per essere anche meno distanti. Non è un paradosso: i democratici dovranno evitare le posizioni troppo moderate, per non patire un’emorragia di voti a sinistra; “l’arcobaleno”, per estendere il proprio bacino elettorale, dovrà scansare la deriva estremista.
Veltroni dovrà cogliere l’occasione di questa difficile rimonta sulle destre, sospinte dagli (attuali) sondaggi, giocando il jolly-novità, per intercettare la richiesta di rinnovamento della politica che sale forte dai cittadini. Sia nei metodi, quindi, ad esempio, continuando a fare scegliere i candidati con le primarie, vigendo per di più l’espropriazione della scelta (il porcellum) patita dall’elettore. Sia negli uomini, operando un sostanziale cambiamento delle “facce” proposte: non possono essere più le stesse degli ultimi 20 anni. Una necessità questa anche per il centrodestra, ma più difficile da realizzare, perché si sente già al Governo, coi i suoi big già ministri. Come nel 1994, 1996, 2001, 2006, per la quinta volta consecutiva, il loro leader sarà Barlusconi. E al suo fianco, meglio, nel suo seguito, ci saranno, come sempre, Bossi, Casini, Fini, Buttiglione… Tutti sperimentati a lungo al potere e non più graditi, nelle urne, dalla metà degli italiani nell’aprile 2006. Attenzione ai sondaggi! Non sono la Verità e, comunque, fotografano il periodo, attualmente, il rigetto per il “centrosinistra sinistrato” più che la nostalgia per i predecessori. Il rinnovamento, dunque, appare urgente anche per le destre che corrono il rischio di dire gatto senza averlo ancora nel sacco. I programmi sono importanti, gli uomini non di meno. Nelle primarie Usa Obama ha ribaltato pronostici e sondaggi, che lo davano perdente in partenza. Un cambiamento auspicato dagli italiani, anche dai più pessimisti, perché l’eventuale errore di un novizio s’accetta, quello, solito, del professionista della politica nausea. E poi i giovani sono il futuro. Molti dei vecchi coloro che quasi del tutto glielo hanno rubato.