22/12/2012   10:56 4312

Presentato il libro di Gargani: Il rapporto difficile tra politica e magistratura


Tema scottante affrontato nella serata di venerdì 21 dicembre presso l’hotel President di Benevento, e precisamente quello del difficile rapporto fra politica e magistratura. Un legame apparentemente codificato dalla giurisdizione e dalla nostra storia, ma in realtà assai problematico, soprattutto di questi tempi in cui spesso la politica è latitante o privatizzata nel suo ruolo legislativo e la magistratura finisce con il sostituirsi ad essa nella gestione della società. Tema molto caldo anche alla luce delle prossime elezioni politiche e del ruolo pubblico di tanti magistrati. Meriti, ma soprattutto responsabilità che l’europarlamentare Giuseppe Gargani mette in luce nel suo volume ‘In nome Pubblici Ministeri’, giunto alla sua terza edizione e presentato appunto durante l’incontro. Sono intervenuti all’evento il Segretario Provinciale UDC di Benevento, Gennaro Santamaria, il Responsabile Provinciale Dipartimento Giustizia UDC di Benevento, Antonio Di Santo, il Presidente della Camera Penale di Benevento, Vincenzo Regardi, il Presidente della Sezione Penale della Corte di Appello di Napoli, Maurizio Stanziola, il Procuratore Capo della Repubblica presso il Tribunale di Bari, Antonio Laudati. L’incontro ha avuto come moderatore il giornalista Salvatore Biazzo.
Santamaria sottolinea il difficile momento della politica, sia da un punto di vista istituzionale, che nei suoi rapporti con la pubblica opinione, difficoltà a cui spesso si accompagna il tema della giustizia, politica e sociale, e il protagonismo di alcune procure. Di Santo mette in risalto poi il ruolo determinante del libro di Gargani nel porre in evidenza la difficoltà della politica nel fare leggi ‘erga omnes’, cosa che determina spesso una necessaria discrezionalità da parte della magistratura. A ciò si accompagnano poi, egli aggiunge, una serie di problematiche irrisolte come quella della separazione delle carriere, dell’autonomia della magistratura anche nei suoi rapporti con la Corte Costituzionale e dell’ipocrisia della obbligatorietà dell’azione legale. “Se è vero che il ruolo del PM è quello di appurare la verità – aggiunge - oggi, sempre più, egli sta diventando il guardiano della società, sostituendosi così alla politica”. Biazzo precisa che il libro è un’opera scomoda che, analizzando le vicende del passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica attraverso le vicende di Tangentopoli, vuole mettere sotto accusa la politica e la sua incapacità di gestire una riforma della giustizia che possa impedire l’effetto mediatico dell’azione giudiziaria. Regardi riprende il tema della partecipazione politica di tanti magistrati, ricordando che il fenomeno esiste perché c’è chi li chiama a tale funzione, sottolineando, ancora una volta, la responsabilità della politica anche su questo fronte. “Il testo – ricorda - pur scritto nel 1998, si rivela ancora dolorosamente attuale e pur riconoscendo la calda passione con cui è stato redatto, si presenta come un duro atto di denuncia, quasi un grido di dolore nei confronti di ciò che si è verificato e di ciò che ancora si verifica oggi”. Egli ricorda che il compito del Pubblico Ministero non è quello di fare guerre sante e controllare la legalità, ma quello di punire l’illegalità, i magistrati devono punire i colpevoli e non scegliere quale reato perseguire. Condivide infine il principio della separazione fra funzione accusatoria e giudicante spiegando che se il giudice deve essere terzo, non può appartenere all’ordine dei Pubblici Ministeri. Affonda poi la sua riflessione sull’uso “spesso sproporzionato” della custodia cautelare che, seppure ridimensionata nel suo impiego dall’articolo 274, “è ancora troppo adoperata, con effetti di tipo mediatico che mettono spesso la difesa nella condizione di essere ‘nuda’ di fronte all’azione processuale”. Laudati torna poi sul ruolo e sulla funzione del P.M. sottolineando come le problematiche sul suo ruolo siano in stretta relazione con la crisi di legalità del paese, un luogo in cui è ormai alterato il rapporto fra politica, economia e giustizia, dove l’economia governa la politica che spesso crea leggi a stretto carattere economico. Quando la politica non fa buone leggi, consente ai giudici di snaturare il loro ruolo e di riempire la norma di quei caratteri che il legislatore non ha chiarito o ha mancato di fare. Determinante poi il ruolo dei media che amplificando l’azione processuale, finiscono col rendere la condizione dell’indagato peggiore di quella del condannato. Stanziali denuncia infine la lentezza della giustizia e il clamore alimentato da processi a carico di potenti e ricchi, cosa che facilita la visibilità ed il ruolo di paladino della giustizia stessa. “Avere giustizia, per il cittadino comune, è cosa difficile – afferma - così come è necessario amministrare la giustizia senza investitura popolare, proprio per consentire la terzietà del giudice. Se il grado d’appello è quello che sancisce in modo definitivo un provvedimento - continua - spesso si diventa famosi solo quando si processano imputati famosi”. Egli si chiede infine perché nei programmi dei partiti politici, anche in prossimità di elezioni, sia assente qualunque progetto di riforma della giustizia. Chiude Gargani raccontando le ragioni che lo hanno portato al corso di laurea in giurisprudenza: la vicenda di una condanna per omicidio e sottrazione di cadavere, con relativa condanna a 22 anni, seguita dalla ricomparsa del morto e dalla soddisfazione del giudice perché ‘giustizia era fatta’. “Il ruolo difficile del giudice etico che deve fare giustizia e rivendicare la propria autonomia, viene poi stravolto da Tangentopoli e dal protagonismo di alcuni giudici, da cui l’urgenza dell’analisi del tema della giustizia. Se una legge è ben fatta però, il giudice fa solo il suo mestiere, dove un processo giusto è un processo morale. Le strategie politiche – conclude - devono perciò riprendere il loro ruolo e pur senza demonizzare la magistratura, la politica deve riappropriarsi della sua funzione legiferante, abbandonando il ricorso a leggi ad personam o poco chiare che generano la patologia giuridica e l’anti politica”.
Eusapia Tarricone

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