28/03/2007   13:33 11326

Piero Ricci: medico legale, docente e sempre rugbista


Quando si entra nel suo studio si ha quasi una sensazione d’apnea. Due delle quattro pareti sono occupate da librerie, stracolme di testi medici. Su una c’è un poster di rugby. Sulla parete, alle spalle della scrivania (su cui è impossibile trovare uno spazio libero), campeggiano le pergamene della laurea e della specializzazione.

Professor Ricci perché ha scelto di specializzarsi nella medicina legale?
Per caso, come spesso capita nella vita. Con la medicina legale non fu amore a prima vista. Non era, infatti, la mia prima passione. Appariva, pure ai miei occhi, come a quelli dei più, una materia strana. Io ero affascinato da una visione scientista della realtà, credevo nella tecnica e nel progresso e della ricerca, mi sembrava che la biologia molecolare stesse per aprire spazi immensi. Conobbi, casualmente, seguendo il corso di medicina legale durante il Dottorato, il professor Goffredo Sciaudone. Si interessò al mio percorso di studi. Un bel giorno mi chiamò e mi informò di un concorso, un’occasione importante per entrare nell’università. Decisi di partecipare e lo vinsi. Da allora cambiai stile di vita.
Come divide il suo tempo tra la carriera universitaria e quella di medico legale?
Entrambe le attività assorbono tempo ed energie. L’Università è diventata, specialmente per me che dirigo una Scuola di Specialità e una Facoltà medica, sempre più assorbente. La professione di medico legale è, poi, totalizzante: una continua lotta contro il tempo.
Dai suoi responsi spesso dipende la libertà di un individuo. Lei sente tale responsabilità?
Certamente, sì. Il mio motto è: “L’umiltà precede la gloria”, bisogna sempre essere pronti a mettersi in discussione e mai essere dogmatici. Dobbiamo rispondere in termini di certezza, usando un buon metodo e ammettere l’errore, una volta compiuto.
Ha mai avuto dei dubbi?
Sì, qualche volta, ma la cosa importante è essere onesti con se stessi e non farsi condizionare da fattori esterni, cosa che, a volte, accade.
Vuole raccontarci degli attentati a Falcone e Borsellino?
In quegli anni lavoravo a Palermo. Falcone lo ricordo come un uomo dal sorriso triste. Aveva il senso della drammaticità del suo lavoro, ma allo stesso tempo era sereno e umile. Quando morì, ero a Benevento e, solo quando rientrai a Palermo, ebbi modo di vedere gli esiti dell’autopsia fatti da un assistente del nostro istituto. Discussi con lui il rapporto, per l’attività giudiziaria. Invece, sul caso Borsellino ero in sede. L’avevo conosciuto a Trapani, come Procuratore Capo. In lui si incarnava la tipica caratterizzazione del siciliano riflessivo e intelligente.
Cosa ricorda, invece, dell’autopsia?
Vi partecipai direttamente, e ho memoria, viva, dello scempio delle salme, anche se il suo corpo fu parzialmente risparmiato dall’esplosione, riuscendo così a ricomporne la salma. L’attentato fu violento. Noi ricevemmo, a distanza di settimane, resti di frammenti delle altre vittime, ritrovati in posti lontanissimi, rispetto al luogo in cui la macchina fu fatta esplodere.
Quali sono state le autopsie più difficili da eseguire?
Recentemente ho provato emozione nell’autopsia di Federica Monteleone (la ragazza di 16 anni, di Vibo Valentia, deceduta, il 26 gennaio scorso, presso l’Ospedale di Cosenza, in seguito ad un blackout in sala operatoria, a Vibo, dove si era sottoposta a un intervento di Appendicectomia, NDR). Sono andato a visitarla a Cosenza, in rianimazione, prima che venisse dichiarata clinicamente morta, e ho eseguito l’autopsia subito dopo che le è stato staccato il respiratore. Però non è questo l’aspetto, per noi che operiamo in tale campo, più scioccante. L’aspetto più macabro sono le esumazioni, cosa che ci capita spesso.
Parliamo della sua attività scientifica…
Con la Clinica del Lavoro di Milano stiamo concludendo una ricerca sugli effetti, delle polveri fini, sull’apparato respiratorio. Inoltre, sto preparando un volume, dove con il mio gruppo e alcuni colleghi tento di dare delle raccomandazioni su come si debbano condurre le indagini medico legali, nei casi di responsabilità professionale. Da molti anni mi occupo dell’handicap dell’invalidità, sono stato uno dei primi periti a interessarmi di inavalidopoli e sto lavorando sulle possibili correzioni del sistema circa l’accertamento di un handicap.
Cosa le è rimasto del rugbista?
Innanzitutto, chi è rugbista è rugbista sempre. L’esserlo non è associato direttamente alla pratica. Tempo fa, a Benevento, abbiamo organizzato una squadra di veterani dove ho ripreso a giocare.
Lei conosce molto bene Benevento. Come la vede… ferma o in movimento?
La città ha avuto un momento di svolta, c’era un progetto teso a connotarla fortemente come città di cultura. Adesso mi sembra stanca. E’ pur vero che sono state fatte delle cose importanti, come la Marsec, però è come se mancasse un progetto unitario, non si capisce quale sia la direzione da prendere.

Il professore Ricci ha 53 anni, è sposato e ha 4 figli. Laureato in Medicina e Chirurgia, specializzato in Anestesia e poi in Medicina Legale, da 10 anni opera a Catanzaro, dove è pure direttore dell’Istituto di Medicina Legale e professore ordinario presso l’Università della Magna Grecia. Suo padre fu senatore sannita della Democrazia Cristiana.
Alessia Tornusciolo


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