04/04/2007   20:13 1232

Fragneto Monforte: storia e rabbia di Pasquale, una vittima della discarica a Toppa Infuocata


"Dopo tanti anni di sacrifici è andato tutto in fumo”. Deve essere questo il chiodo fisso di Pasquale da quando, quasi tre anni fa, si è visto catapultare, a pochi metri da casa, circa 60 mila tonnellate di rifiuti.
Pasquale (nella foto) ha settant’anni e, da oltre venticinque, vive tra le colline di Toppa Infuocata, frazione di Fragneto Monforte.

Qui ha radunato tutti i suoi cari: i figli e un nipote con le rispettive famiglie, una quindicina di persone in tutto. Basta dargli un’occhiata per rendersi conto che ha trascorso gran parte della sua esistenza a lavorare nei campi e, infatti, col sudore di una vita ha acquistato un podere di circa venti ettari. Se, fino a qualche tempo fa, la sua quotidianità, a stretto contatto con la natura, era sotto molti punti di vista invidiabile, adesso non è più così. Perché quando la mattina si affaccia alla finestra non si trova più di fronte soltanto le piantagioni di grano e le coltivazioni di viti e ulivi del suo appezzamento, ma anche una montagna di immondizia. Quella che nell’ottobre 2004, l’allora commissario per l’emergenza rifiuti in Campania, Corrado Catenacci, ha fatto parcheggiare proprio al confine con i suoi terreni. Per dirla con le parole di Pasquale: “Prima sentivamo il profumo delle ginestre, adesso sentiamo puzza di m……!”. Una testimonianza, la sua, più che mai significativa in questi giorni, alla vigilia dell’annunciata apertura di una nuova discarica a Dugenta e all’indomani della riunione sull’emergenza convocata alla Rocca dal presidente della Provincia di Benevento Carmine Nardone. Un racconto che dovrebbe spingere i cittadini ad aprire gli occhi sulla questione.

Commissariato e istituzioni dovrebbero, invece, prendere provvedimenti celeri, quantomeno per la bonifica e la riqualificazione di tali aree. Aumentano di giorno in giorno, infatti, i disagi per chi vive nei pressi di questa “discarica a cielo aperto”, una delle tante che da anni richiamano per le strade centinaia di cittadini campani che non vogliono ospitare nei propri paesi la spazzatura prodotta da altri. A Toppa Infuocata non si tratta soltanto del cattivo odore o dell’impatto visivo delle ecoballe che comunque mal si sposano con il bel paesaggio circostante.

L’enorme telo verde di plastica dura che le copre è servito ad attutire sia l’uno che l’altro. Quello che lascia perplessi è che Pasquale e i suoi familiari hanno iniziato ad accusare anche problemi di salute: “I primi tempi la puzza degli insetticidi mi ha costretto a letto per parecchi giorni e da allora mi becco la bronchite, almeno due volte l’anno”. Sembrano aumentati, infatti, i casi di disturbi respiratori per chi è costretto a inalare quell’aria secca, satura di sostanze chimiche. La zona, infatti, è ancora sorvegliata ventiquattro ore su ventiquattro e i pesticidi vengono irrorati giornalmente per mezzo di appositi cannoni montati su camioncini. “Ogni mattina le ecoballe sono coperte da una sottile nebbiolina che con l’umidità crea una cappa sulla collina”. Per lo stesso motivo Pasquale è costretto, paradossalmente, a dover comprare gli ortaggi in negozio, nonostante tutto il terreno che possiede.

E a bere l’acqua in bottiglia, non più quella del pozzo che, tuttavia, utilizza ancora per lavarsi, irrigare, e dissetare gli animali. E, se è lui il primo a non fidarsi, figuriamoci chi dovrebbe acquistare dei prodotti di “agricoltura biologica”! “Se voglio vendere qualche pollo nessuno lo compra, le cantine non accettano più l’uva e, al frantoio, non vogliono più lavorare le mie olive per paura di far otturare i filtri”. L’anziano signore ci racconta che, quando ha dovuto raccogliere le olive sulle piante a meno di dieci metri dai rifiuti, ha addirittura dovuto usare i guanti per non bruciarsi le mani con “quella polverina bianca che copriva foglie e rami”.

Difficile pensare che il contributo economico concesso dalla Provincia e che, a breve, sarà distribuito dal Comune alle famiglie danneggiate, possa bastare a risarcire i danni prodotti in pochi mesi. Pasquale confessa che l’angoscia maggiore non è tanto per la sua sorte, quanto per i nipoti e le generazioni future: “Volevo vendere tutto e andarmene via, ma non ho trovato acquirenti. Anche io farei lo stesso”. In realtà non ci sono dati scientifici che sanciscano una qualsiasi forma di inquinamento delle acque, dell’aria e del terreno, dovuta alle ecoballe. Nessuno studio che confermi le supposizioni dei fragnetani, ma nemmeno che le smentisca, nonostante le continue richieste di monitoraggio da parte dei cittadini.

Ed è per questo che aumenta la preoccupazione del comitato “La nostra terra, i nostri valori”, anche alla luce degli incendi che, di tanto in tanto, si verificano tra i rifiuti, coperti sistematicamente con la terra dalle ruspe. “Se si sviluppano dei focolai, significa che non si tratta di semplici ecoballe, ma anche di materiale organico”, ipotizza il presidente del Comitato Giovanni Venditti: “Ci troviamo di fronte ad una realtà più grande di noi, ma questo non deve demoralizzarci. Vogliamo riprendere a muoverci, bisogna fare denunce più mirate, insieme a un movimento di rivendicazione per garantire la salute dei nostri figli”.

Per il momento sembra ancora lontana, dunque, l’ipotesi di rendere esecutivo l’accordo di programma sottoscritto nell’ottobre 2005, presso la Regione Campania. Il patto avrebbe dovuto portare, entro 120 giorni, alla redazione di un progetto di riqualificazione ambientale per un totale di oltre due milioni di euro. Fatto sta che, tornati a casa dopo l’incontro con Pasquale, non abbiamo potuto fare a meno di lavarci il viso e sciacquarci la bocca, per quell’aria secca e “strana” che sentivo sulle labbra. Solo colpa dell’autosuggestione o della forza persuasiva del nostro interlocutore?
Luigi Vicedomini

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