07/10/2012   10:26 3125

Benevento: Il ricordo di Giuseppe Fallarino tra le pieghe della sua poesia


Quando la poesia tocca l’anima, travolge i pensieri e diventa nostalgia o sguardo al presente, nasce l’arte, un’arte fatta di rime in lingua dialettale, di una comunicazione in cui riecheggiano suoni linguistici e significati ormai perduti e superati dalla frenetica necessità di ‘dire’ in modo sintetico. Quando la voglia di non perdere un patrimonio di sensazioni e persone ci costringe a fermarci e riflettere, ecco che nasce un libro come quello di Giuseppe Fallarino, il volume "A luna mmiez 'u Trescene - Benevento nella poesia di Giuseppe Fallarino", Percorsi Editore. Si è voluta ricordare l’opera, insieme alla vita dell’autore, in un incontro tenutosi sabato 6 ottobre nella sale conferenze di Palazzo Paolo V al Corso Garibaldi in Benevento. Il testo, impreziosito dai disegni del maestro Alfredo Verdile, a cura di Peppe Porcaro, è stato solo un primo omaggio alla memoria di un poeta che, a pochi mesi dalla scomparsa, sembra ancora essere presente fra quanti lo hanno conosciuto ed amato.
Durante la presentazione del volume, sono state declamate molte delle sue più accattivanti ed originali poesie, per le voci di Antonio Sorgente (alias Don Saverio), Maria Ricca, giornalista, Lamberto Ingaldi, amico e collaboratore di Fallarino, e numerosi altri amici e conoscenti dell’autore, per terminare con la lettura di un brano da parte della giovanissima nipote del poeta, presente in sala insieme al padre ed alla nonna paterna.
A nome del Comune di Benevento, ha portato il saluto dell’amministrazione comunale, il consigliere Enrico Castiello, moderatore Carlo Panella. Da parte di tutti i convenuti è stato sottolineato lo spirito ironico, ma attento del poeta, l’attenzione con cui amava descrivere personaggi ‘epici’ della città, vizi e virtù di un popolo che non c’è più, strade dell’infanzia e della memoria, profumi, cibi, mestieri che sembrano frutto di un’invenzione poetica che è stata però realtà fino a pochi anni fa. Protagonista delle sue poesie è il dialetto beneventano, una lingua che oggi pochi conoscono nella sua struttura verace, ma che si offre come strumento principe nella trasmissione di emozioni e riflessioni, affascinante misconosciuto di un mondo antico ma caro a quanti, coetanei del poeta, lo hanno conosciuto e frequentato negli anni della spensierata giovinezza, ma nello stesso tempo piacevole scoperta per quanti invece non hanno mai praticato quelle inflessioni dialettali. Con mente lucida e attenta ai particolari, egli sapeva cogliere, con la nitida ed equilibrata ironia di una mente serena a cui erano care certe situazioni, emozioni che oggi spesso, distratti, non vediamo o riconosciamo, commozioni ed analisi che gli hanno consentito di realizzare anche diverse opere teatrali. Un percorso il suo, teso ad immortalare la sua città, un luogo di cui sentiva forte la nostalgia durante i soggiorni lontani da essa, cantore umorista e amorevole della sua terra, dei vicoli dell’infanzia, del suo salotto ‘corso Garbaldi’, dei suoi amici con i quali amava discutere delle sue poesie e confrontarsi in merito alle sue impressioni. Tutto, come detto, utilizzando il dialetto, lingua materna che evoca sensazioni e ricordi, che esalta le differenze e le identità, espressione dello spirito plebeo che amava e di cui aveva nostalgia. Strade, fontane, mestieri, abitudini, amori innocenti ed antichi, uomini e donne di un mondo che esprimevano semplicità, genuinità, emblemi di una ingenuità forse perduta. Il figlio, Renato Fallarino, ricorda poi ai presenti la figura di un padre attento ed affettuoso, di una persona che sembrava conoscere tutti e che indicava ai figli con simpatia e affettuoso ricordo, cantore di un tempo e di un luogo che amava moltissimo e di cui voleva serbare il ricordo. L’incontro si chiude con la lettura della prefazione al libro da parte dell’autore della stessa, Antonio Sorgente, con un commovente saluto all’amico Peppino.
Eusapia Tarricone

^ torna in alto Stai leggendo un articolo di >