Ad Arcos la mostra "Come to Have". Creta: "Non è solo un accrochage di opere"
Mostra visitabile dal 10 marzo al 13 aprile.
Sarà inaugurata domani, sabato 9 marzo alle ore 10.00 al Museo Arcos di Benevento, la mostra "Venire per Avere - Come to Have" a cura di Bustos Domenech per la direzione artistica di Ferdinando Credo che vedrà impegnati gli artisti Mattia Barbieri, Mauro Barbieri, Luino Bernardino, Sergio Maria Calatroni, Barbara Crimella, Pietro Finelli, Alberto Finelli – Evyenia Gennadiou, Mari Iurskaya, Irma Lescinskaite, Monica Mazzone. Una mostra che sarà visitabile dal 10 marzo al 13 aprile.
Sull'evento è interventuto proprio Ferdinando Creta che in una nota, scrive: "Pensare una mostra che non sia solo un accrochage di opere, ma che invece sia un momento del mostrare dell’opera (delle opere) e della loro riflessione, con tutto ciò che tali termini indicano nel loro etimo più profondo (sull’etimo mostrare mi ero soffermato nella presentazione alla mostra Si viene a sapere qualcosa presso Villa Brivio a Nova Milanese del 2016), che non attiene solo all’opera ma anche al luogo dove l’opera entra a mostrarsi (il mostrarsi e il luogo/oikos in origine erano strettamente connessi). Mentre la riflessione non concerne un a-posteriori aggiunto all’opera dall’artista o chicchessia, appartiene invece all’opera nel suo esperirsi, come cosa che si- riflette, che ri-flette, con un gioco dialettico di sdoppiamento che è possibile cogliere nei parametri del recinto dell’opera. L’opera monade non si presenta come un blocco, ma è essa stessa una porosità e convergenza di stati-azione, di stasi, di movimento spiraliforme, più vicino alla spirale logaritmica che a quella archimedea. Ecco perché il mostrarsi delle opere nella contemporaneità, ma potremmo dire anche dalla modernità in poi, non è mai semplice presenza del loro esserci, ma ogni volta nei casi più riusciti, è luogo di un divenire che acquisisce tutti i caratteri di oggetto estetico con espansione spiralica, tangente di movimenti culturali, politici, sociologici, economici, spazio-temporali, che non sempre la pratica critica prima e quella curatoriale poi, riesce a catturare (spesso in nome di vuoti quanto narcisistici discorsi autoreferenziali, di cui l’opera, le opere, sono solo il pre-testo, per espansioni autoriali in ambiti disciplinari che poco o nulla hanno a che fare con l’arte o gli
artisti. E ciò accade e si è sempre più affermato, con la richiesta e la cadenza annuale, biennale o quinquennale, di molte manifestazioni d’arte, improntate a ritmi e cadenze capitalistiche (fino ad arrivare a delle vere e proprie parodie, come per esempio una biennale che aveva come nume tutelare Marx e il Capitale, con letture come jam session dei capitoli del libro tra l’altro, e tutta la biennale era essa stessa il prodotto tardo capitalistico dei processi di consumo dell’arte di massa). Tant’è! Per cui ci s’interroga sul senso di tutto questo, sul senso del che fare, ci si appoggia a degli autori che avevano intrapreso, come critici e filosofi, la decostruzione di questi processi immanenti della sfera culturale non soltanto consumistica dell’arte di massa, cercando di sbrogliarne o perlomeno rendere palese tale appercezione, non soltanto negli scritti di questi pensatori, ma anche negli artisti soprattutto, che maggiormente hanno avvertito e scandagliato il travaglio della grande forma urbana e di massa che l’arte in questi ultimi cento anni ha subito, con lo sviluppo dell’intrattenimento culturale da consumo per colte élite, a consumo indifferenziato di utenti".
Per Creta: "Non è che una mostra debba risolvere, con la sua presenza, tale congerie di domande. Certamente entra in collisione con essi e ne mostra per così dire la posizione, come in un gioco di scacchi, dove il Pedone, il Re o la Regina possono mettere in scacco l’avversario attraverso una serie di colpi ben assestati. Si tratta di capire se l’artista è lo scacchista che agisce su una scacchiera trasformatasi in campo di battaglia, con una scarsità di tempo a disposizione – cosiddetta fase di Zeitnot – per vincere l’avversario. Oppure su tale campo, egli è un semplice Pedone manovrato dalle regole del gioco, dove il tempo si è ridotto drasticamente, prima che il suo avversario (il suo doppio) sferri l’attacco finale. Dove tutte le regole, il campo/scacchiera, i Re e le Regine, entrano in deflagrazione finale, come un autentico Final de partie. Ecco che una mostra, il suo mostrarsi, più che tracciare linee movimenti tendenze, più che documentare o, al più, servire da contorno a questa o quella teoria, mostra (ancora una volta!) il suo volto, toccando e sprofondando nell’origine, zona fondante e terminale di ogni opera d’arte".